E’ il cenone di Natale, allegoria dell’abbondanza e palcoscenico dell’opulenza. Il vostro vicino di posto, probabilmente un cugino di quarto grado di cui ricordate a malapena il nome, sembra dare i primi segni di cedimento e cerca invano il vostro sguardo complice. Ma voi con finta nonchalance e incauta intraprendenza vi mostrate ancora affamati nonostante la quantità di cibo appena ingerita possa bastare per soddisfare il fabbisogno calorico dell’intera provincia di Isernia. Ecco quindi comparire sulla tavola imbandita, allo scoccare della terza ora di cena, una nuova portata succulenta: un bel tacchino ripieno. Allora, in un fugace scampolo di coscienza, che in queste occasioni viene opportunamente lasciata a casa (non si capirebbe altrimenti il motivo di una quantità così spropositata di cibo) vi interrogate sulla storia del tacchino che avete davanti.

Ebbene, questo tacchino viveva in un allevamento in cui sin dal primo giorno gli venne dato da mangiare regolarmente. Il tacchino si accorse che il cibo veniva portato tutti i giorni alla stessa ora, indipendentemente dalla stagione, dal clima o da altri fattori esterni.

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